Un contratto parziale o determinato non basta a garantire l’autosufficienza. E questo è un requisito base per quanto riguarda il mantenimento.
Un argomento spinoso quello del mantenimento dei figli, ma non tanto per il dovere morale di dover provvedere alla propria prole. Il problema, infatti, sorge quando vi siano particolari condizioni di indigenza o di difficoltà economica, ma anche quando, una volta cresciuti, i figli continuino a non essere autosufficienti a livello economico. Due fattori che, in realtà, si attraversano a vicenda. Figli un po’ dei tempi, soprattutto il secondo, vista la crisi lavorativa che ha colpito le nuove generazioni.
In questo senso, subentrano una serie di dinamiche infinite, che toccano anche gli ambiti della moralità. Infatti, al termine del percorso scolastico, le vie sono unicamente due: proseguire gli studi o cercare un lavoro. Per i più volenterosi (o i più fortunati) si potrebbe pensare persino a un binomio ma per ora non è questo il caso. In ogni situazione, che sia lo studio o la ricerca di un’occupazione, il figlio o la figlia dovranno mostrare il cosiddetto “atteggiamento attivo”.
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Mantenimento dei figli, ecco quanto dura l’obbligo per i genitori
Detto questo, viene da chiedersi se e quando la prole arrivi a un tale stato di autosufficienza per sganciarsi definitivamente dal sostegno familiare. E, nello specifico, quando si diventi realmente autosufficienti. Inoltre, al di là degli obblighi morali e dell’affetto genitoriale, vista anche la difficoltà nell’ottenere un impiego in pianta stabile, fino a quando dura giuridicamente l’obbligo al mantenimento? Altro quesito, inoltre, se tale status venga mantenuto anche in caso di contratti di lavoro precari, altra situazione limite.
Interrogativi numerosi, tanto da rendere necessario un intervento legislativo. Nello specifico, quello della Corte di Cassazione (ordinanza n. 19077/2020), che stabilisce come un rapporto di lavoro determinato o parziale non sia sufficiente a garantire l’autosufficienza economica. Il caso in oggetto era quello di un papà, tenuto a versare un contributo di 300 euro a suo figlio nonostante lavorasse. Certo, è fuor di dubbio che la natura affettiva dell’aiuto permanga anche quando i figli crescano e lavorino. Ma, a quanto pare, è così anche a norma di legge.