Non solo un dibattito politico o sulla libertà d’espressione. Se Twitter cala in Borsa dell’8%, altre app social rischiano di essere penalizzate.
Gli strascichi delle vicende di Capitol Hill sembrano aver colpito di riflesso un campo particolarmente delicato, come quello della comunicazione sul web. Fragile perché in ballo c’è la possibilità di una tassazione dei colossi digitali e, nondimeno, un dato di fatto ormai dato per scontato circa la libertà d’espressione che gli strumenti di interscambio sul web consentono. Ecco perché la notizia dell’interdizione del presidente americano, Donald Trump, dai canali social ha fatto discutere.
C’è chi è d’accordo, ritenendolo responsabile almeno in parte dell’irruzione dei suoi sostenitori nella sede del Congresso qualche giorno fa. E altri che mettono la questione sui parametri della libertà d’espressione. Diventata incitamento all’odio per gli staff dei social prediletti del Tycoon e dei suoi collaboratori.
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Twitter, in qualche modo, è stata protagonista assoluta della presidenza di Donald Trump. Sul social dei cinguettii c’è passato di tutto, finanche importanti annunci di interesse nazionale. Oltre che, naturalmente, frasi umorali e incitamenti ai propri sostenitori. Un atteggiamento che, alla lunga, ha provocato più di qualche critica. E anche un numero record di tweet.
Stop di Facebook fino al 20 gennaio, Twitter addirittura rimuove il profilo nonostante gli 88 milioni di follower del presidente degli Stati Uniti. Una mossa costata una regressione del titolo addirittura dell’8% nelle negoziazioni pre-market di due giorni fa. Evidentemente, secondo il social, un prezzo che era giusto pagare visto quanto accaduto (cinque morti e diversi feriti), anche se è difficile attribuire i fatti di Washington direttamente alle dichiarazioni social del presidente.
Il punto è che la questione rischia di esulare dal semplice piano politico. Se infatti è vero, come sostenuto da molti, che tali social sono privati e possono a discrezione bloccare dei profili qualora ritengano violati i codici di condotta, fa notizia anche lo stop di Parler. Un altro social, meno noto, dove in teoria avrebbero dovuto trasferirsi Trump e alleati silenziati. Apple e Google ne hanno bloccato il download, ponendo motivazioni legate alle normative di sicurezza non indicate contro contenuti di odio.
Un brutto colpo per la app, simile a Twitter ma giovanissima (appena un paio d’anni), che vede una prima battuta d’arresto nella sua crescita. Ma un colpo anche per la possibilità di fare impresa. Di riflesso magari, ma la questione Trump (anzi, la questione Capitol Hill) in questo caso sembra davvero aver travalicato i confini della legislativi, ai quali spetterebbe.