Durante la pandemia, lo smart working è stato una necessità al fine di evitare la diffusione del Covid-19. L’impatto sia fisico che mentale non è stato dei migliori, ecco perché.
Se da un lato lo smart working è uno strumento utilissimo per garantire il distanziamento sociale al fine di contenere la diffusione del contagio, dall’altro lato questa situazione causerà una serie di effetti negativi.
In primo luogo, uno degli effetti dello smartworking è l’isolamento sociale. Non basteranno, infatti, le videocall per garantire una una coesione e la coordinazione tra i membri del proprio team causando sempre più introversione dovuta alla carenza delle comunicazioni informali tra colleghi.
Smart working: burnout e workaholism
Con lo smart working, molti lavoratori hanno mostrato segni di burnout, ovvero uno stato di esaurimento psicofisico. Da un indagine condotta da LinkedIn, è emerso che il 46% dei lavoratori intervistati ha dichiarato di aver riportato episodi di stress e ansia, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno.
Altri lavoratori hanno sviluppato il cd. workaholism, vale a dire una dipendenza dal lavoro che è considerata una vera e propria patologia.
Lo smart working ha un impatto positivo sull’ambiente a causa della riduzione degli spostamenti casa-lavoro, quello però che si sottovaluto sono i cattivi effetti dell’ elettrosmog.
L’ elettrosmog è una forma di inquinamento ambientale che può causare dei disturbi quali frequenti mal di testa, perenne stanchezza e difficoltà di concentrazione.
Occorre, quindi, rendere consapevoli i lavoratori in smart working circa le conseguenze dell’elettrosmog, oltre che promuovere iniziative che aiutino i dipendenti a riorganizzare il proprio ambiente per minimizzarne gli effetti.