La pensione di reversibilità che l’INPS garantisce ai superstiti in caso di decesso di un familiare può essere revocata se si verificano alcune condizioni. Vediamo quali sono
La pensione di reversibilità è da sempre una materia piuttosto complesso. Per chi non ne fosse al corrente, è un trattamento previdenziale che l’INPS assegna ai familiari superstiti di un contribuente titolare di pensione che è venuto a mancare.
Si tratta di una quota piuttosto variabile (è determinata da diversi fattori) e in alcuni casi può essere interrotta in via definitiva. I beneficiari infatti devono rispettare alcune tassative condizioni onde evitare che il diritto al sussidio decada. Scopriamo insieme quali sono.
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Pensione di reversibilità: tutti i casi in cui il beneficio può decadere
Ogni parente ha diritto ad una precisa quota mensile, ma l’erogazione viene meno se: il coniuge titolare del beneficio si risposa, se i genitori del defunto percepiscono una pensione di altro genere e quando il percettore perde lo stato di inabilità dichiarato in precedenza.
Questi sono solo alcuni dei casi più classici a cui vanno necessariamente aggiunti anche quelli in cui i figli studenti terminano o interrompono gli studi o raggiungono il 26esimo anno di età (sempre nel caso sia studente) e dei fratelli o sorelle non sposati che stipulano un contratto di matrimonio.
In parole parole la pensione di reversibilità viene meno qualora la reversibilità vada a cozzare con le condizioni degli aventi diritto. Questo spiega sia l’interruzione istantanea e definitiva del servizio, sia i possibili cambiamenti del corrispettivo mensile.
Quindi, nel momento in cui si decide di percepire questo indennizzo bisogna ben curarsi da molteplici agenti esterni, onde evitare di incorrere in situazioni di incongruenza, che comportino all’annullamento (lecito) dello stesso.