La Corte di Cassazione ha risolto un contenzioso in tema di presunzione del reddito da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Cosa è accaduto?
Per capire la pronuncia della Corte di Cassazione occorre partire dal principio.
La vicenda riguarda il ricorso depositato, alla Commissione Tributaria, da un contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrata aveva contestato ricavi non contabilizzati relativi ad un canone di locazione.
L’Agenzia delle Entrate aveva, in particolare, calcolato il maggior importo in considerazione del canone di locazione di altro appartamento, di minore metratura, nel medesimo stabile.
L’appartamente oggetto di verifica era di mq. 165 di euro, con un canone annuo di 84.000,00 euro mentre l’altro appartamento di mq. 85 aveva un canone annio pari a 32.000.
In prima battuta la Commissione Tributaria diede ragione al contribuente ritenendo che le differenze esistenti tra i due appartamenti, e altresì, non giustificavano la differenza di canone annuo anche il fatto che entrambi gli immobili fossero stati locati per attività commerciali o professionali costituiva un indice della sussistenza di caratteristiche tra loro similari.
Il giudice di secondo grado, non escludendo del tutto l’esistenza di differenze, riduceva comunque i ricavi imponibili derivanti da canoni di locazione non contabilizzati.
L’Amministrazione Finanziaria ricorreva in Cassazione: deducendo che, la Commissione Tributaria Regionale, aveva erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento in questione. Benché questo fondato su di una presunzione priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza
La ricorrente lamentava, altresì, che fossero state considerate “irrilevanti” le circostanze addotte quali fatti contrari alla pretesa che, invece, comprovavano che quello convenuto era effettivamente il corrispettivo percepito per la locazione.
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La Corte di Cassazione ribalta la sentenza di secondo grado dichiarando che: l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità inattendibile per antieconomicità, può desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito effettivo del contribuente. E può a tal fine utilizzare le incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta dallo stesso contribuente.
La Corte afferma che, l’Amministrazione Finanziaria, a fronte di una valutazione di antieconomicità, è legittimata a procedere ad accertamento analitico induttivo.
La Cassazione aggiunge che: “Gli elementi assunti a fonte di presunzione, non devono del resto essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare su un elemento unico, preciso e grave. E la valutazione della rilevanza di tale elemento non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria”.
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