Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il racconto drammatico di un brutale femminicidio, evitabile.
Il 25 novembre si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: nel 2020 sono state uccise già almeno 93 donne da uomini senza scrupoli. Il movente è quasi sempre lo stesso: la gelosia. Uomini fragili che non accettano di essere lasciati, o meglio, la fine di una storia.
Marianna ha difeso i suoi figli fino all’ultimo respiro, e per farlo ha preso botte per anni, tante botte: dal marito tossicodipendente. Ha dovuto difenderli anche con una giustizia consapevole del pericolo di quell’uomo che ha lasciato sempre libero. Non solo: aveva affidato a lui i figli della donna. Marianna aveva scritto un diario, perché nessuno dimenticasse cosa vuol dire vivere a fianco di un mostro. Marianna ha denunciato 12 volte quel mostro, ma la giustizia lo ha lasciato libero: di ucciderla. Marianna non c’è più e oggi i figli sanno chi era davvero la loro mamma.
“Sono Marianna Manduca, la mia è una storia vera, fatta di violenze, sopraffazioni e quotidiane umiliazioni. Il mio ex non riesce a tollerare che io abbia alzato la testa, lasciandolo e denunciando le violenze. Per questo ha deciso, per ritorsione e vendetta, di colpirmi nell’unico mio vero punto debole: i figli. Allego 12 querele”. È la drammatica testimonianza – pubblicata da Repubblica – di Marianna Manduca, vittima di femminicidio.
Prima di essere uccisa a coltellate dall’ex Saverio Nolfo, denunciato dodici volte per violenza domestica, Marianna aveva redatto un memoriale indirizzato al Tribunale dei Minori, per chiedere che i suoi tre bambini fossero collocati presso di lei e non al domicilio del suo ex, un prefabbricato con tetto in plastica e senza sanitari. Doppio vergognoso errore della giustizia: prima mandano dei bambini in una casa in degrado togliendoli ala madre, poi non puniscono quell’uomo che alla fine uccide Marianna.
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Denuncia 12 volte il marito per le botte prese, ma lui è libero di ucciderla: il racconto dell’orrore in un diario
Marianna scriveva sul suo diario: “mi resi conto di avere sposato una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto. Tra me e lui, infatti, c’era l’eroina. Quando l’ho scoperto ero già in attesa del nostro primo figlio. Lui promise che avrebbe fatto di tutto per disintossicarsi. Accettare quella condizione ha messo letteralmente fine alla mia vita di donna e di madre”.
“Ben presto lui capì che non sopportavo più quella vita – continua Marianna – Da quel momento cominciò a odiarmi e a picchiarmi con inaudita violenza. Mi diceva che nessuno mai avrebbe creduto alle mie storie, perché lui era più furbo dei giudici. Non uscivo più di casa. Aspettavo la mia razione quotidiana di botte rassegnata. Lo facevo per evitare che quella bestia rivolgesse le sue attenzioni contro i miei genitori e contro i miei figli.
Poi l’allontanamento dai figli che vanno col padre drogato. “Dopo essersi reso conto che i miei figli cominciavano a manifestare la loro voglia di venire a stare con me – scrive – ha cominciato a impedirmi di fatto il mio esercizio del diritto di visita in maniera sempre più violenta”.”L’unica mia speranza era il giudice della separazione, il cui procedimento era stato da me stessa invocato. Ma è stato tutto vano e allo stesso tempo incredibile. Molte volte ho pensato che forse sarebbe stato meglio non denunciarlo. Ma è una debolezza che dura solo qualche minuto”.
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