La moglie lo trova nel letto, con una flebo accanto. Si è ucciso in attesa di un tampone: era un infermiere di Lecce.
Il Covid non uccide solo con il suo carico di virus che può bruciare i polmoni. Il Covid può uccidere anche menti stanche e provate dall’emergenza: turni interminabili, i pazienti visti sperare e poi morire ogni giorno, la paura di ammalarsi. E ci sono menti che sono più fragili delle altre, a prescindere da quei corpi robusti che camminano su e già nei corridoi degli ospedali dal mattino alla sera. Menti che si arrendono.
Non ha atteso il secondo tampone, nonostante fosse risultato negativo al primo, e si è tolto la vita nella sua casa: è stata la moglie a trovarlo senza vita sul suo letto, si sarebbe iniettato in corpo una flebo con un farmaco fatale. Aveva solo 58 anni e lavorava all’ospedale Vito Fazzi di Lecce. Aveva avuto contatti con una persona positiva al Covid ma non ha voluto nemmeno più scoprire se era stato contagiato: probabilmente si è arreso alla stanchezza.
La moglie ha trovato una flebo accanto al corpo esanime dell’uomo e ha chiamato immediatamente il 118 ma per lui non c’era più nulla da fare. Era un infermiere, sapeva purtroppo come morire se solo avesse scelto di farlo. “Un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto sulla nostra comunità in maniera del tutto inattesa e che ci lascia sgomenti” cosi il commento del sindaco di Presicce-Acquarica, Paolo Rizzo.
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Infermiere si toglie la vita in attesa di tampone: lo stress di medici e infermieri in prima linea
Ora saranno i carabinieri, che hanno avviato un’indagine, a stabilire cosa sia accaduto in quella casa. Per ora si fanno solo ipotesi: le più accreditate parlano di paura di essere rimasto contagiato, ma anche e soprattutto di stress. Quella stanchezza che sta distruggendo la psiche di molti operatori sanitari costretti a lavorare per ore interminabile e costretti ad avere a che fare con la morte, ogni giorno.
Abbiamo già denunciato gli effetti dell’isolamento sull’operatore sanitario – scrive il portale Dimensione Infermiere attraverso le parole di Tonino Cantelmi, coautore dello studio ‘Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale‘ che denuncia:
“In qualche modo chi sta pagando un prezzo molto alto in termini di stigma sono gli operatori sociosanitari che se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall’altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi. Non solo stanno svolgendo un lavoro enorme, ma devono gestire un trauma incredibile, perché vedono morire persone. In aggiunta a
questo, sono costretti a un isolamento affettivo e stanno in quarantena dentro la loro stessa casa“.
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