Il 23 novembre di 40 anni fa l’Irpinia fu messa in ginocchio da un terremoto di proporzioni devastanti. Ecco come sta oggi il territorio.
23 novembre 1980: una strage immane. Il terremoto dell’Irpinia colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. La magnitudo fu di 6,9 della scala Mercalli, l’epicentro fu tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania: i numeri sono drammatici: il sisma causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e almeno 2.914 morti.
Che cosa è rimasto di quella terra e di quel popolo, 40 anni dopo? “Non perdiamoci nella retorica – confessa a Repubblica, Rosanna Repole, che da giovanissima divenne sindaco sotto una tenda al posto di Guglielmo Castellano, morto tra le macerie a Sant’Angelo dei Lombardi . Ha senso ricordare le vittime di quella tragedia atroce solo se oggi c’è davvero un impegno serio per guardare al futuro”.
“Quarant’anni dopo la ferita del 23 novembre è ancora aperta” – dice Costantino Vassiliadis, segretario irpino Ugl “Il terremoto ha portato le strade dello sviluppo ma anche industrie fantasma”. Già, la solita vecchia storia italiana: quanti hanno speculato su quel terremoto e sulla pelle di migliaia di persone? In Alta irpinia ci furono interi paesi rasi al suolo, oggi ricostruiti, ma da Lioni a Calabritto bisogna fare i conti con lo spopolamento e la fuga dei giovani. I borghi sono ormai deserti.
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Irpinia inghiottita dal terremoto: quanti hanno speculato? Oggi fanno i conti col Covid
I paesi del “cratere” vengono definiti quei posti fantasma che furono epicentro del terribile terremoto di 40 anni fa. Oggi in quelle zone si piangono altri morti: quelli uccisi dal Covid. “Ora la sfida di questi territori è combattere la desertificazione”, dice a Repubblica, Rosetta D’Amelio, ex presidente del consiglio regionale, protagonista da sindaco di Lioni degli anni della ricostruzione e della rinascita. “La notte del 23 novembre ’80 – ricorda D’Amelio – ero una giovane studentessa universitaria. Mi sono salvata per miracolo. Mi ritrovai all’improvviso tra gente che piangeva e palazzi crollati, abbiamo scavato con le mani tra le macerie. E quel ricordo non si cancella”.
Avellino porta ancora i segni terrificanti del terremoto, persino lungo Corso Vittorio Emanuele, il salotto buono della città. Li chiamano “buchi neri”, sono i palazzi che non sono stati mai più ricostruiti, per burocrazia e speculazione.
Mancino e De Mita erano i leader democristriani dell’epoca. Nella lotta al Covid l’Alta Irpinia si ritrova con una nuova emergenza: l’ospedale di Bisaccia è stato chiuso, quello di Sant’Angelo dei Lombardi pesantemente ridimensionato. Erano stati presidi di speranza e salvezza nel dopo terremoto. Rosanna Repole, che è stata anche presidente della Provincia di Avellino, si rivolge al governatore De Luca.
“Qualcosa in questi anni è stato fatto, ma bisogna invertire la rotta, specie sulla organizzazione della medicina territoriale”, osserva la Repole. Luigi Famiglietti ex parlamentare Pd, per anni sindaco di Frigento, ammette che “la ricostruzione è stata un’occasione mancata ma è stato eccessivo parlare di Irpiniagate rispetto a sprechi enormi che hanno interessato un’area più vasta della nostra provincia”.
“Non si è riusciti e non si è nemmeno voluto, mettere dei punti fermi, sulle cose avvenute, sui ritardi, sugli errori, sulle cose positive, sarebbe stato utile e necessario per delineare un futuro, una prospettiva. Ancora oggi manca un chiaro disegno di sviluppo – afferma Raffaele Lieto, ex segretario Cgil di Avellino.
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