Aprire una LTD all’estero? In superficie, potrebbe apparire come un’idea intelligente, ma in realtà nasconde delle insidie non di poco conto. Ma cosa spinge gli italiani ad aprire una società all’estero? In alcuni casi la burocrazia meno invasiva, che offre la possibilità di avere, nel giro di poche ore, una società in regola e pronta ad iniziare la propria attività ma, maggiormente, per un aspetto puramente fiscale, considerando che in alcuni Paesi si pagano meno tasse. Tipo Irlanda, Inghilterra, Malta, etc.
L’ITALIA GUIDA LA CLASSIFICA DELL’EVASIONE
Prendiamo ad esempio Malta: nell’isola, si paga soltanto il 5% delle tasse, una percentuale irrisoria in confronto a quella attualmente vigente in Italia. In più, in alcuni Stati, il concetto di acconti sulle tasse è praticamente inesistente, così come in contributi INPS.
Ma qual è l’errore più comune che commette colui che decide di aprire una società all’estero? Esporsi in prima persona come socio ( o partecipazioni) oppure amministratore della stessa. Secondo la legislazione italiana, una società intestata ed amministrata da un cittadino italiano, nonostante risieda all’estero, non può essere considerata tale al 100%.
Questo modo di agire si chiama “esterovestizione“, un reato che comporta conseguenze gravi se l’amministratore non regolarizza la sua posizione col fisco. Quindi, chi veramente pensa di aprire una società all’estero, risultando come amministratore o socio, per pagare mento tasse, ha sbagliato completamente strategia: il Fisco, prima o poi, se ne accorgerà.
Molte società italiane lavorano ormai nel settore digitale e con internet si possono aprire velocemente società LTD ( e altrettando chiuderle), esempio in Inghilterra con poche sterline e tutto online, puoi avere una LTD pronta in brevissimo tempo, indirizzo postale (condiviso) e con i nuovi conti correnti virtuali (esempio il Conto Revolut) hai subito un conto corrente con IBAN in oltre 20 valute e carta di pagamento /prelievo recapita a casa in italia o resto del mondo in 1 giorno lavorativo.
Una società estera diventa italiana al 100% quando:
- I proprietari sono residenti in Italia;
- E’ amministrata interamente da italiani;
- Il sito web di riferimento è intestato ad una persona residente in Italia;
Quindi, chi apre una società estera per non versare al Fisco italiano l’IVA e i vari contributi dovrebbe trovare altri modo, pur consapevole di stare violando apertamente la legge.
Come riporta il Sole 24 ore: Al primo posto c’è «il missing trader» (operatore mancante): il soggetto che effettua acquisti intracomunitari fittizi senza effettuare alcun adempimento Iva. C’è poi il «defaulter» (debitore inadempiente), ovvero il contribuente che dichiara l’Iva sugli acquisti intraUe ma non versa la relativa imposta. A far paura al Fisco c’è anche il «conduit company » (società condotto), che compie operazioni intracomunitarie sia in acquisto sia in vendita con clienti in altri paesi membri.
Fisco, i 15 trucchi per nascondere l’Iva: caccia a 36 miliardi
Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha implementato i sistemi di controllo per “scovare” chi elude il Fisco ed evade l’IVA. Questo grazie ai trattati stipulati con gli altri Stati per lo scambio di informazioni finanziarie. Di fatto, quel segreto bancario che aveva creato un fortino inespugnabile tra chi aveva conti all’estero e l’Agenzia delle Entrate di fatto non esiste più.
Il FACTA è senza dubbio il principale strumento di monitoraggio finanziario internazionale, introdotto nel 2010 dagli Stati Uniti. Con questo sistema, 120 Paesi si scambiano continuamente informazioni finanziarie, rendendo impossibile a società o privati di aggirare le leggi fiscali del proprio Paese d’appartenenza.
Se un imprenditore decide di aprire una società all’estero, deve cercare di farlo in modo corretto, senza celare la propria attività nell’ombra. Inoltre, molti sono convinti che la lentezza con cui si muove l’Agenzia delle Entrate si traduce in assenza di controlli. Un falso mito, poiché il Fisco italiano può intervenire anche a distanza di anni e chiedere spiegazioni del perché, in un determinato lasso di tempo, una società estera non ha pagato quanto dovuto. Intanto, questo modo di operare è ancora presente, nonostante i casi di evasione che hanno coinvolto grosse società come Facebook e Google, costrette a pagare al Fisco italiano svariati milioni di euro.
Tra i metodi utilizzati negli ultimi anni per eludere il Fisco ci sono i “patent box“, presenti anche in diversi Paesi dell’Unione Europea. Con questo sistema, le imposte calcolate sui redditi derivanti dall’amministrazione, dall’utilizzo diretto o dalla concessione d’uso a terzi sono molto basse. Le tipologie in questione contemplano marchi commerciali, brevetti e opere d’ingegno, utilizzate spesso dalle società per spostare i profitti verso queste tipologie di attività, le quali non hanno nessun legame con i beni immateriali. Naturalmente, spostare i profitti significa pagare meno tasse.
Fonti: ilsole24ore.com