Mario Draghi vuole aiutare le banche a recuperare redditività attraverso la parziale riduzione dello 0,40% che i vari istituti elargiscono alla BCE quando parcheggiano la liquidità in eccesso. Il presidente della banca centrale ha da sempre negato che ci sia una correlazione tra politica monetaria tipo Nirp (azzeramento dei tassi) e le difficoltà delle banche a generare utili.
Tutto era iniziato a marzo, quando era stata rinviata al 2020 la prima stretta del costo del denaro. Ma, allo stato attuale, l’intento pare scricchiolare, soprattutto a causa del braccio di ferro intrapreso da Draghi con la Germania sul tasso negativo sui depositi. Secondo alcune indiscrezioni, pare molto probabile che la Bce restituirà una parte dei 7 miliardi di euro incamerati ogni anno sotto forma di interessi dalle banche sui depositi effettuati nella Banca centrale europea.
Uno studio che va avanti, ma che non è ancora ufficialmente arrivato alla Bce. Ci sono però delle tracce che qualcosa sta bollendo in pentola, soprattutto dalle dichiarazioni rilasciate da Draghi ad un convegno di Francoforte: “Il nostro monitoraggio sulle modalità con cui le banche possano mantenere condizioni di sano profitto continua mentre i margini netti sugli interessi restano compressi. Se sarà necessario, bisognerà riflettere su eventuali misure atte a preservare le condizioni economiche favorevoli dei tassi negativi, cercando di mitigare, al tempo stesso, probabili effetti collaterali”.
In assenza di conferme ufficiali, resta comunque un sentimento negativo alla luce della poca efficacia che tali misure hanno mostrato in Danimarca, Giappone, Svizzera e Svezia, dove gli incrementi degli utili sono stati irrisori.