Sul fronte pensioni, il contratto di governo stilato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega non c’è solo la tanto chiacchierata Quota 100: l’esecutivo che le due forze politiche stanno provando a far partire ha in serbo ulteriori misure per quel che riguarda lo scottante tema delle pensioni.
Intanto, è chiaro: l’asse portante dell’eventuale riforma previdenziale sarebbe senza ombra di dubbio Quota 100, vale a dire quel sistema che consentirebbe di andare in pensione non appena la somma dell’età anagrafica e degli anni di contribuzione dà come risultato 100. E’ probabile però che per non renderla troppo invitante, il governo finirà per mettere un paletto a questo meccanismo, ossia un’età minima prima della quale in pensione non si potrebbe comunque andare (si pensa a 62 o 64 anni come soglia minima di età anagrafica).
A Quota 100 dovrebbe affiancarsi Quota 41, che permetterebbe di andare in pensione una volta versati 41 anni di contributi, indipendentemente quindi dall’età anagrafica (tale sistema è ora previsto per i soli lavoratori precoci). Si parla poi di una proroga di Opzione Donna, che consente alle donne di andare in pensione anche con 35 anni di contributi, e di ulteriori misure volte ad andare incontro a chi è impiegato in lavori usuranti.
Relativamente alla questione reddito di cittadinanza, Di Maio e Salvini portano avanti anche la battaglia sulle pensioni di cittadinanza: la proposta è di portare tutte le pensioni, di qualsiasi tipo, a un ammontare mensile non inferiore a 780 euro.
Non strettamente connesse al discorso pensioni, ci sono proposte relative alla riforma del sistema previdenziale di parlamentari, consiglieri regionali e organi costituzionali vari, che consiste fondamentalmente in una revisione dei famigerati vitalizi. Si parla anche di un taglio delle pensioni sopra i 5mila euro netti al mese per le quali non corrisponde un’adeguata contribuzione (pertanto le pensioni molto alte che poggiano su una giustificata contribuzione non rischiano alcunché).