Prima o poi il momento sarebbe arrivato, e a quanto pare ci siamo: Bitcoin, Litecoin, Peercoin, Primecoin, Namecoin e Ripple entrano ufficialmente nella dichiarazione dei redditi. Le criptovalute, che tanto stanno andando di moda, finiranno nella dichiarazione dei redditi e saranno assoggettate così alla scure delle tasse. Insomma, sono osteggiate praticamente da chiunque, ma dal momento in cui producono gettito vengono quanto meno legittimate!
L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che le criptovalute debbano entrare nella dichiarazione dei redditi, ed essere indicate all’interno del quadro RW della stessa. In parole povere, queste monete digitali, nel caso in cui siano detenute da privati, generano un tipo di reddito che il Fisco riconduce ai cosiddetti “redditi diversi”.
Per quanto riguarda invece i guadagni derivanti dalla compravendita delle criptovalute, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le valute digitali debbano esser trattate alla stregua di una qualsiasi valuta estera. Il che significa che le plusvalenze prodotte dalla conversione di valute virtuali sono soggette a tassazione qualora la giacenza media abbia superato, per almeno sette giorni lavorativi, l’importo di 51.645,69 euro.
Eventuali plusvalenze andranno dichiarate nel quadro RT della dichiarazione dei redditi e verranno tassate al 26%.
In ultimo, ma non meno importante, l’Agenzia ha stabilito che il possesso di Bitcoin (o di qualsiasi altra criptovaluta) non produce alcun tipo di obbligo nel versamento dell’imposta sul valore dei prodotti finanziari (Ivafe). Il motivo? Perché la valuta virtuale, per quanto possa produrre un guadagno, non è assimilabile a depositi e conti correnti che hanno una natura prettamente bancaria.