Si sa, i lavoratori a tempo determinato non hanno le stesse garanzie riconosciute ai lavoratori a tempo indeterminato, e non ce le hanno sotto diversi punti di vista. Uno di questi riguarda il credito, che fino a prova contraria ha le porte chiuse nei confronti di tutti coloro i quali hanno contratti atipici.
Infatti i dati dicono proprio questo, e cioè che i lavoratori con contratti a termine richiedono sempre meno prestiti e, quelli che ci provano, avanzano richieste per cifre sempre più basse.
Da un’analisi Adnkronos risulta che nel 2016 i lavoratori a tempo determinato hanno rappresentato soltanto lo 0.31% di quanti hanno richiesto un prestito personale, e nel 2017 il dato si è ulteriormente abbassato fino a dimezzarsi: lo scorso anno solo questa fascia di persone rappresentava solamente lo 0.17% della totalità. D’altronde chi non ha il tanto agognato posto fisso sa bene che le possibilità di vedersi rifiutato un prestito sono altissime, se non quasi certe.
Pure gli importi richiesti sono quelli che sono: a fronte di uno stipendio medio di 1.324 euro, la media dei prestiti richiesti dai lavoratori a termine era di 8.557 euro nel 2016 e di 8.247 nel 2017, con piani di rimborso pari a una media di 4 anni e mezzo (tra le 51 e le 58 mensilità). E il motivo per cui sono stati richiesti questi prestiti è legato fondamentalmente all’acquisto di una macchina, ma anche al bisogno di liquidità e alla ristrutturazione degli immobili.
Dall’altra parte della barricata ci sono quindi i lavoratori a tempo indeterminato, che invece nel 2016 e nel 2017 hanno rappresentato una fetta consistente nel pubblico dei richiedenti prestito: nel 2016 erano il 62.38% del totale mentre nel 2017 sono saliti al 65.96%. Interessante anche il dato sugli autonomi, i quali costituiscono un’altra categoria poco favorita ma che bene o male sono riusciti a strappare un decimo dei prestiti (nel 2016 erano il 9.18% del totale, mentre nel 2017 sono passati all’11.72%).