Sei lavoratori su dieci preferiscono che l’azienda presso cui sono impiegati dia loro dei “premi” sotto forma di servizi di welfare, come convenzioni per asili nido e polizze sanitarie, piuttosto che provvedere a un aumento generalizzato degli stipendi. A svelarlo è un’indagine condotta da Censis-Eudaimon.
“Dinanzi alla possibilità di trasformare i premi della retribuzione in prestazioni assistenziali, il 58.7% dei lavoratori si dice favorevole, il 23.5% è contrario e il 17.8% non ha un’opinione precisa in merito”.
Tuttavia, solo il 17.9% dei lavoratori italiani conosce effettivamente cosa sia il welfare aziendale. Eppure parliamo di un argomento che se portato in campo e messo a regime per tutti i lavoratori del settore privato, può valere 21 miliardi di euro. In pratica “si tratterebbe di un valore pari a quasi una mensilità di stipendio in più all’anno per lavoratore”.
Entrando nel dettaglio vien fuori che a mostrarsi più favorevoli a un’ipotesi di welfare aziendale sono i dirigenti e i quadri (73.6%), i lavoratori che hanno dei figli di età inferiore a 3 anni (68.2%), i laureati (63.5%) e i lavoratori che dispongono di redditi medio-alti (62.2%). Operai e impiegati invece preferiscono un aumento di stipendio rispetto all’entrata in campo di strumenti di welfare aziendale: i favorevoli a soluzioni di welfare sono il 41.3% tra gli operai e il 36.5% tra gli impiegati.
Di conseguenza, si legge nell’indagine, “il welfare azienda non può trasformarsi in un surrogato di aumenti salariali per gli occupati nelle fasce di reddito più basse. Da quest’ottica bisogna considerare il boom di famiglie operaie che versano in una condizione di povertà assoluta, che tra il 2008 e il 2016 sono aumentate del 178% fino a diventare 600.000”.