Per la prima volta anche l’Europa si dota di una lista nera dei paradisi fiscali, cioè di quei paesi che hanno una legislazione particolarmente aperta nei confronti di coloro i quali vogliono accantonare e conservare i propri risparmi. Si calcola che ogni anno i paesi Ue perdano centinaia di miliardi di euro a causa dei correntisti che trasferiscono i loro risparmi su conti extra europei.
Ebbene, la lista approvata nelle ultime ore dalla Ue considera come paradisi fiscali i seguenti paesi: Bahrein, Barbados, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Grenada, isole Guam, isole Marshall, Mongolia, Namibia, Macao, Panama, Samoa, Palau, Saint Lucia, Samoa Americane, Trinidad e Tobago e Tunisia.
Oltre alla black list è stata pubblicata una lista grigia che, come intuibile, contiene una lista di paesi che non possono ancora essere considerati paradisi fiscali ma che per tutta una serie di ragioni vale la pena tenere sotto osservazione. Nella lista grigia sono stati inclusi, fra gli altri, Svizzera, Bermuda e Jersey (Regno Unito).
Tuttavia, nonostante la lista nera (e quella grigia) sia utile per identificare le realtà un po’ più “a rischio”, c’è da dire anche che nei fatti cambierà ben poco. I paesi inseriti nella black list infatti non sono paesi cooperativi, quindi non possono essere collaborativi per quanto riguarda i tentativi di recupero delle somme e il prosieguo delle indagini.
E imprese e privati, dal canto loro, potranno continuare ad avere rapporti con banche residenti in questi paesi senza rischiare alcunché. Ogni singolo stato potrà comunque darsi da fare “da solo” per stanare casi di contribuenti che si rivolgono a questi tipi di realtà. Ogni stato può combattere i paradisi fiscali stabilendo una tassa (anche piuttosto gravosa) su tutte le transazioni economiche in entrata o in uscita su quello specifico paradiso, oppure rafforzando i controlli fiscali verso privati e aziende che lo frequentano.