“Fate l’amore ma non fare la guerra” recitava uno slogan nei primi anni 70. Purtroppo la guerra è un business che fa gola a molti e la vendita di armi nel mondo crea un giro di affari a dir poco impressionante.Non solo gli Stati Uniti, perché in realtà tutti i paesi vogliono partecipare al grande circo, tra cui anche la “neutrale” svizzera. Le aziende elvetiche operanti nel settore degli armamenti, infatti, vogliono ora esportare nei paesi in cui è in corso un conflitto armato interno.
A chi è rivolta questa richiesta fatta pervenire tramite una lettera? Non certo a Babbo Natale ma alla Commissione di politica di sicurezza del Consiglio degli Stati.
Il contenuto della lettera è improntato sua una semplice ma chiara richiesta: le ditte, oltre a fornire l’esercito svizzero, vogliono che le loro esportazioni abbiano condizioni equivalenti a quelle della concorrenza europea.
Sono 13 le aziende e i fornitori ad avanzare questa richiesta; tra esse ci sono Ruag, Mowag, Thales e Systems Assembling di Boudry.
Etica, pace e amore non hanno significato quando la vita umana viene stampata su una banconota. Allora subentra la ragion economica la quale, secondo queste aziende belliche, porterebbe posti di lavoro e risolverebbe la situazione finanziaria precaria nella quale si trova il settore a causa anche della diminuzione degli acquisti da parte dell’esercito svizzero.
Dobbiamo dire che queste lamentele hanno comunque un fondo di verità: a differenza del 2011, quando si erano raggiunti elevati livelli ammontanti a circa 873 milioni di franchi, l’export bellico elvetico è crollato e non di poco. Tra il 2016 e nei primi nove mesi di questo anno si è passati da 412 milioni a 254 milioni. Una bella differenza! Le colpe? Della politica del Consiglio federale che si è fatto via via più restrittiva nel rilasciare autorizzazioni rispetto agli altri paesi dell’UE che esportano armi.