Alitalia fa incetta di altri soldi pubblici. Poche ore fa il governo, con l’approvazione del decreto fiscale, ha deciso di far slittare la cessione della compagnia aerea e di stanziare altro denaro sotto forma di prestito ponte: dagli attuali 600 milioni di euro già riconosciuti all’Alitalia, si passa a 900, con un tesoretto che quindi aumenta di 300 milioni.
L’entità del prestito è stata aumentata nonostante il denaro prestato già lo scorso maggio ai commissari sia ancora tutto da spendere. Rimane ferma al 16 ottobre, invece, la data entro cui dovranno essere presentate al notaio le offerte vincolanti. Cambiano però i termini della trattativa, in quanto la data ultima, finora fissata al 5 novembre, è stata prorogata al 30 aprile, vale a dire a dopo le elezioni politiche (che con ogni probabilità si terranno a inizio marzo).
In sostanza il decreto fiscale uscito dal Consiglio dei ministri riconosce più tempo e più soldi alla compagnia di bandiera. Le ragioni sono chiare: evitare che la trattativa assuma dei toni esasperati, che avvenga cioè in un contesto in cui i nervi sono tesi e le risorse sono rasenti lo zero. Il Ministero dello Sviluppo economico ritiene in sostanza che concedere tempo ad Alitalia significhi valorizzarne al massimo gli asset, ossia non svendere il tutto al primo che capita.
Inoltre 300 milioni di euro in più darebbero alla compagnia quella linfa vitale di cui ha bisogno per passare un inverno tutto sommato “calmo”, in quanto questo periodo è notoriamente uno dei più difficili dell’anno, nonché uno di quelli in cui la cassa viene bruciata molto più velocemente.
Nonostante le ragioni mosse dal governo, in molti sono comunque contrari al fatto che Alitalia usufruisca di un altro miliardo di euro di fondi pubblici. E’ vero che il prestito alla fine verrà restituito in prededuzione, vale a dire prima di qualsiasi altro debito, ed è anche vero che gli interessi applicati al finanziamento sono piuttosto alti (9.75%); così come è vero che dare ora più soldi ad Alitalia significa ottenere di più dalla sua cessione. Il contribuente medio però non ragiona per massimi sistemi e sa che la proroga al 30 aprile e la cassa integrazione per i 1.230 addetti, alla fine, sarà a carico suo.