Arrivano per lo più dalle società non finanziarie le inadempienze probabili, cioè i prestiti erogati da una banca per i quali non v’è molta certezza che possano venire rimborsati integralmente. Il gergo li ha ribattezzati “unlikely to pay”. Di questi prestiti qua nelle banche ce ne sono la bellezza di 117 miliardi, un numero che è molto alto ma che rimane comunque inferiore rispetto al valore delle sofferenze che dal canto loro, infatti, si aggirano attorno ai 200 miliardi.
E’ anche vero però che se si ragiona in termini netti a bilancio, ovvero tenendo conto delle rettifiche e delle garanzie, gli unlikely to pay salgono a 86 miliardi e le sofferenze scendono a 85. Al di là del lato dal quale si guarda la questione, resta un dato di fatto: l’ammontare dei prestiti a rischio è decisamente fuori misura.
Elaborando i dati di Bankitalia, Pier Paolo Masenza e Alessandro Biondi spiegano che per l’85% dei casi il credito unlikely to pay riguarda il mondo corporate, per l’8% le famiglie (che magari hanno ottenuto un mutuo per l’acquisto della casa), per il 5% le piccolissime imprese a conduzione familiare, e per il rimanente 2% il credito al consumo. Tra l’altro, il portafoglio delle probabili inadempienze in Italia mostra un’elevata concentrazione: l’83% è concentrato infatti tra le 10 maggiori banche del Paese e il 93% si riferisce alle 20 maggiori banche.
Tuttavia per quanto la questione possa sembrare nera, Masenza e Biondi invitano a cogliere le opportunità date dalle nuove linee guida pubblicate dalla Bce in materia di gestione della filiera delle esposizioni non performing. Queste linee guida, a detta degli esperti, rappresentano un’occasione da cogliere al volo, oltre che una spinta dal punto di vista normativo. Un po’ l’ammontare dei prestiti a rischio e un po’ i primi passi fatti dalla Bce descrivono un quadro sicuramente meno negativo del previsto.
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